Biden lascia, sarà Michelle Obama la candidata dem alla Casa Bianca?

Il ritrovamento a orologeria dei "documenti classificati" apre scenari politico-giudiziari in cui l’annuncio di una ricandidatura dell'attuale anziano presidente nel 2024 sembra sempre più a rischio. Il rumor circola a Washington da vari giorni.

Sono nubi sempre più nere quelle che si stanno addensando sul futuro politico di Joe Biden. Venerdì scorso sono stati rinvenuti sei ulteriori “documenti classificati” nella sua abitazione privata di Wilmington (in Delaware). A darne notizia è stato l’avvocato personale del presidente, Bob Bauer. Il ritrovamento ha avuto luogo dopo che l’Fbi ha effettuato una perquisizione di circa 13 ore nella casa di Biden: operazione supervisionata dal procuratore federale John Lausch.

Ricordiamo che quest’ultimo aveva condotto, su richiesta del dipartimento di Giustizia, l’indagine preliminare sui documenti classificati trovati nei locali privati di Biden. E proprio Lausch aveva dato parere positivo relativamente alla nomina di un procuratore speciale da parte dello stesso dipartimento di Giustizia.

È così che, lo scorso 12 gennaio, il procuratore generale degli Stati Uniti, Merrick Garland, ha scelto Robert Hurper indagare sui documenti classificati del presidente. Quello stesso Hurper che, proprio in questi giorni, sta prendendo le consegne da Lausch. Secondo la timeline della Cbs, il ritrovamento di venerdì è il quinto finora avvenuto. Il primo, risalente al 2 novembre scorso, aveva avuto luogo in un ufficio di Washington appartenente al think tank Penn Biden Center. Gli altri quattro, a cavallo tra dicembre e gennaio, nella dimora di Wilmington.

È importante sottolineare che quello di venerdì è stato il primo ritrovamento che ha avuto luogo a seguito di una perquisizione condotta dagli agenti federali. È vero che, a differenza dal raid agostano in casa di Donald Trump, la perquisizione sarebbe avvenuta con il consenso dei legali di Biden. Resta però il fatto che non sono solo i repubblicani, che già evocano il Watergate, a essere sul piede di guerra. Sempre più esponenti dem stanno di fatto scaricando Biden (dal deputato Adam Schiff al senatore Tim Kaine), mentre il New York Times ha rivelato che il capo dello staff della Casa Bianca, Ron Klain, vorrebbe dimettersi a febbraio.

Non è chiaro se il passo indietro sia legato allo scandalo dei documenti. Certo è che la tempistica pare un po’ sospetta. Sembra che il diretto interessato abbia comunicato ai colleghi questa intenzione subito dopo le elezioni di midterm, che si tennero sei giorni dopo il primo ritrovamento. La questione è tanto più spinosa alla luce del fatto che Klain è uno storico collaboratore di Biden (fu il suo capo dello staff già ai tempi della vicepresidenza tra il 2009 e il 2011).

Insomma è uno scenario politico – giudiziario in cui l’annuncio di una ricandidatura alla Casa Bianca di Biden sembra farsi sempre più a rischio. A questo proposito è importante registrare il rumor che circola a Washington da vari giorni. Alla luce di un fattore oggettivo come l’età di Biden (avrebbe 82 anni nel 2024, la storia dice che nessun presidente americano è entrato alla Casa Bianca così vecchio) e soprattutto tenendo conto delle sue condizioni mentali, meno che ideali – si parla di Alzheimer – prende forza nella capitale degli Stati Uniti l’ipotesi che candidato dei democratici alle presidenziali del novembre 2024 possa essere Michelle Obama, la moglie dell’ex presidente Barack (di cui Biden fu vice per otto 8 anni).  Certo una simile nomina sarebbe accolta con sprezzo e toni da guerra civile dai milioni di trumpiani, razzisti e suprematisti di destra americani: già odiavano Obama in quanto nero, e a maggior ragione accoglierebbero come una provocazione l’eventuale candidatura alla Casa Bianca di una donna, per giunta nera.

Tornando ai documenti, potrebbe esserci una “manina” nel ritrovamento che rischia di creare grane alla ricandidatura di Biden e potrebbe spianare la strada a Michelle Obama? Al di là delle opacità e delle contraddizioni della Casa Bianca, c’è un ultimo punto da sottolineare. I documenti che stanno emergendo sono molto vecchi: la maggior parte risale proprio ai tempi dell’amministrazione Obama e alcuni addirittura a quando Biden era senatore (cioè a prima del 2009). Cosa ha spinto i legali del presidente a mettersi a cercarli solo a partire dalla fine dell’anno scorso (in un’operazione mantenuta in regime di top secret fino allo scoop della Cbs del 9 gennaio)? Domande a cui avremo forse risposta nelle prossime settimane.

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